Mi sveglio con questa domanda che mi martella il cervello come un tamburo tribale dopo una notte di autodistruzione: meglio un rimorso o un rimpianto? Il dilemma dell’umanità moderna, l’incubo che ci segue ovunque—sui cartelloni pubblicitari, nelle frasi motivazionali stampate sulle tazze, nelle bocche di guru da quattro soldi che dispensano perle di saggezza mentre contano i loro follower.
Eppure, ci tormentiamo con questa domanda, come se davvero avessimo un controllo totale sulla nostra vita. “Fallo e basta, meglio un rimorso che un rimpianto!” Un consiglio da film, venduto come filosofia di vita. Facile da dire per chi ha sempre un paracadute sotto il culo. Ma chi cade fuori dal sistema? Chi non ha la fortuna di poter scegliere tra il rischio calcolato e la prudenza vigliacca?
La società non ha pietà per chi sbaglia. Non perdona chi ha avuto un attimo di debolezza, chi ha preso la strada sbagliata, chi è inciampato mentre correva sulla stessa dannata ruota del criceto dove corriamo tutti. Uno scivolone e sei fuori, bollato a vita come fallito, peso morto, uno da ignorare.
Cammino per strada e vedo i relitti umani che questa civiltà ha scaricato nei vicoli, nelle stazioni, sotto i ponti. Gente che forse ha scelto male, o forse non ha avuto scelta. Nessuno li guarda, nessuno si ferma. I rimorsi e i rimpianti sono un lusso per chi ha ancora qualcosa da perdere. Per loro non esiste nemmeno più la domanda.
E allora mi chiedo: meglio un rimorso o un rimpianto? Meglio buttarsi nel vuoto sperando di volare o restare inchiodati a terra a guardare gli altri spiccare il volo?
Forse la verità è che la scelta non esiste davvero. Forse siamo tutti pedine di un gioco truccato, dove il banco vince sempre e noi ci illudiamo di poter bluffare. O forse, il vero errore è credere che ci sia una risposta giusta.
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