La felicità è una fregatura. Ti viene venduta come la destinazione finale, la grande conclusione, il senso di tutto. Ma cosa succede quando ti accorgi che non ci arrivi mai, che il miraggio si sposta ogni volta che credi di averlo raggiunto? Succede che il pessimismo ti afferra per il collo e ti sussurra: “Lo vedi? Non c’è niente lì per te. Smetti di correre.”
Il pessimismo non è altro che una presa di coscienza brutale. È smettere di fingere che tutto vada bene quando ogni giorno la vita ti tira schiaffi in faccia. Non sto parlando del pessimismo da quattro soldi, quello degli eterni lamentosi che trovano sempre qualcosa che non va. No, parlo del pessimismo puro, quello che nasce quando capisci che, nonostante tutti i tuoi sforzi, hai perso, e probabilmente continuerai a perdere. È il sapore amaro del fallimento che ti si incolla alla lingua e non se ne va.
I fallimenti sono ovunque. Non parlo solo dei grandi disastri – il lavoro che odi, le relazioni che si sfaldano, i sogni che muoiono. No, quelli sono quasi facili da affrontare. Parlo dei piccoli fallimenti quotidiani, quelli che ti erodono a poco a poco. Il messaggio che non mandi, l’idea che lasci morire, il giorno che passa senza che tu faccia qualcosa di significativo. Sono questi che ti rovinano, come l’acqua che scava la pietra. Ti ritrovi a chiederti dove hai sbagliato, quando hai smesso di essere quella persona che pensavi saresti diventato. E la risposta è: sempre. Ogni momento è stato un piccolo passo verso l’abisso.
Ma ecco la vera domanda: vuoi davvero essere felice? È questa la parte che ti frega. Perché la felicità, per come ce la raccontano, è una bugia. È una trappola, una costruzione artificiale per tenerti in riga. Sii felice, ti dicono, compra questa cosa, fai quel viaggio, segui quella dieta. E tu ci provi, Dio solo sa quanto ci provi, ma c’è sempre qualcosa che manca. Forse la felicità è sopravvalutata. Forse non è nemmeno quello che voglio.
Mi interrogo. Se fossi davvero felice, cosa farei? Sarei ancora qui, a scrivere queste parole, a cercare di dare un senso al caos? Forse no. Forse la felicità è una forma di immobilità, una condizione in cui non c’è più niente da cercare, niente da desiderare. E allora mi dico: meglio così, meglio essere infelice, incazzato, perso. Meglio il pessimismo che ti spinge a mettere tutto in discussione, che ti tiene sveglio, che ti fa chiedere “perché?” anche quando non c’è una risposta.
Forse, in fondo, non voglio essere felice. Forse voglio solo continuare a lottare, a fallire, a sentire che c’è ancora qualcosa che mi manca. Perché è questo che mi tiene vivo, che mi spinge avanti.
La felicità è una fine, e io non sono pronto per finire.
Nessun commento:
Posta un commento